Storie paralimpiche, esempi di forza e dedizione, attenzione alla salute e rafforzamento mentale. CECILIA CAMELLINI

PARMA - Il Centro San Girolamo propone una serie di servizi articolati e d’avanguardia, fino ad arrivare alle aree di attività a più alto contenuto tecnologico, come il laboratorio del movimento per la valutazione posturale, in collaborazione con Diers International, e la robotica verso la fisioterapia 4.0, con l'ausilio del cyborg - esoscheletro HAL prodotto dalla Cyberdyne. Ma i principi fondamentali del centro restano legati in particolare alla salute e alla riabilitazione, sia per chi quotidianamente deve affrontare problemi rilevanti per disabilità o patologie, sia in particolare per chi pratica lo sport, e magari si trova a dover recuperare da infortuni o comunque dover tornare in condizioni idonee all’agonismo.

Per questo abbiamo ritenuto di raccontare alcune esperienze straordinarie, che abbiamo chiamato “Storie Paralimpiche”, di persone altrettanto straordinarie che hanno raggiunto risultati di alto livello. Atleti che magari non hanno mai avuto necessità dei nostri servizi, ma che sono esempi di forza, determinazione, capacità di porsi obiettivi e raggiungerli.

E un esempio tra i più luminosi è quello di Cecilia Camellini, portabandiera italiana ai Giochi Paralimpici di Pechino 2008, vincitrice di 7 medaglie paralimpiche (di cui 2 d’oro) e molteplici altri titoli internazionali fino all’anno scorso, quando ha deciso di sospendere la carriera agonistica. Cecilia è non vedente dalla nascita ma, come racconta lei stessa, “questa cosa mi ha fatto porre maggiore attenzione alle voci, ai suoni, ai profumi e a tutte le sensazioni e impressioni che passano attraverso gli altri sensi. La vita di chi non vede non è al buio. Esattamente come quella di tutti è fatta di sorrisi, ostacoli, emozioni e pensieri da esplorare prima con il cuore, poi con le altre capacità che abbiamo”.

Parlare con lei è davvero un grandissimo piacere: Cecilia è estremamente gentile, disponibile, gioviale. Le abbiamo chiesto quanto nella sua carriera sia stata importante la riabilitazione e la prevenzione per evitare infortuni.
“Nella carriera di un’atleta - spiega -
questi sono temi importantissimi, fondamentali. Io ho avuto la grandissima fortuna di non subire gravi infortuni, ma ho visto tante atlete subirne e lavorare con grande impegno per riuscire a superarli. Personalmente ho sempre fatto tanta fisioterapia, e lavorato molto anche sulla parte più “nascosta” dell’infortunio, quella mentale e psicologica, che è comunque molto importante. Ovviamente tutto questo non è sufficiente e come dicevo ci vuole anche una dose di fortuna, ma devo dire che, a parte qualche dolore a una spalla, non ho mai dovuto superare gravi problemi”.

Per un atleta paralimpico, questo tipo di lavoro preparatorio e “preventivo” è diverso rispetto a un atleta normodotato? È più complesso?

“Credo sia ancor più importante, perché, al di là del mio caso, spesso parliamo di atleti che hanno delle disabilità e disfunzionalità ad alcuni arti. Questo comporta spesso un carico di lavoro maggiore su parti diverse del corpo: ad esempio un atleta che abbia disabilità alle gambe, allenerà in maniera molto consistente il busto e le braccia, che sono chiamate a lavorare di più e quindi possono correre un maggior rischio di infortuni. Per questo il lavoro di preparazione, di stretching, tutte quelle pratiche che hanno l’obiettivo di predisporre il muscolo allo sforzo senza che subisca traumi, sono fondamentali”.

Prima ha parlato dell’aspetto mentale della preparazione e dell’attività agonistica: anche in questo caso, crede che questo aspetto per un atleta paralimpico sia più importante rispetto a un atleta normodotato?

Ho sempre pensato che la mente sia come un muscolo, che va allenato e rinforzato. Una persona con disabilità deve confrontarsi quotidianamente con questa dimensione di sfida e difficoltà, deve fortificarsi non solo in vista di possibile attività sportiva, ma per superare tutti quegli ostacoli che rappresentano la sua quotidianità, che li porta a dare risposte alle domande che hanno dentro di loro, a darsi risposte e trovare nuova forza per andare avanti, anche attraverso lo sport. E chi sceglie di dedicarsi allo sport sa da subito che potrà trovarsi anche ad affrontare un infortunio, ma credo che sarà già sufficientemente “forte” per rialzarsi, perché lo fa comunque ogni giorno. Il lavoro sulla mente e sull’allenamento per renderla più forte, oggi rappresentano anche il mio lavoro”.

Cecilia Camellini infatti è psicologa, e dà consulenze e sostegno psicologico a singoli e gruppi per gestire le emozioni e superare momenti di difficoltà o cambiamento.

“Diventare consapevoli e attivi collaboratori della nostra salute è il primo passo per stare meglio - spiega - per questo lavoro con le persone per la riduzione dello stress, per definire i propri obiettivi, migliorare lo stile di vita e la qualità delle relazioni interpersonali. Lavoro anche sull’utilizzo dello sport come strumento educativo e come veicolo di inclusione sociale a scuola e nelle società sportive”.

Anche se ha concluso l’attività agonistica ai massimi livelli, “anche perché questo lavoro mi prende davvero tanto tempo”, Cecilia comunque continua a nuotare: “Lo sport è una parte della mia vita e del mio essere, non potrei mai fare senza, diciamo che oggi è un passatempo ma rimane indispensabile”.